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Autobiografia
Home›Autobiografia›POST RIASSUNTIVO PAGINE DELL’AUTOBIOGRAFIA DI MIKI de RUVO AL 6 AGOSTO

POST RIASSUNTIVO PAGINE DELL’AUTOBIOGRAFIA DI MIKI de RUVO AL 6 AGOSTO

By Miki de Ruvo
06/08/2020
385
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NON SERVE UNO PSICANALISTA PER CAPIRE CHE LA CAUSA DI QUEL MODO DI FARE CON LE DONNE FOSSE ISABELLA
Non ci volevo credere e non mi rassegnavo all’idea che mia madre, Isabella, bellissima di 52 anni, potesse avere un cancro. Ero il più grande di 4 figli, il più emotivo. Lei aveva subito un’operazione, ma mi avevano detto che bisognava mandare un campione per un esame istologico addirittura in Texas e non ne seppi più nulla. Non ci avevo mai capito niente del corpo umano e dei suoi limiti, però l’uomo che mia madre aveva sposato in seconde nozze era un medico, mio fratello era neo-laureato in medicina, se la sarebbero vista loro e mi tranquillizzavo incosciente per non pensare a possibili tragedie: mamma era bella e forte, era impossibile che fosse grave! . La notizia del cancro in quell’estate del ’81 mi sconvolse, non sapevo che fare. Feci l’assurdo: dissi a mamma che quell’anno non avrei trascorso l’estate in villa a Conversano, mi inventai vacanze già programmate altrove da mia moglie. Saremmo stati via un mese!. Isabella cercò di persuadermi a rinunciare: (“ma come? è appena nata tua figlia, l’altra Isabella, fammela godere!”), forse prevedendo l’ultima estate insieme; ma io proprio per farle capire che non era così grave e che era tutto sotto controllo, cocciutamente dissi di no! Inventandomi anticipi e prenotazioni effettuate…tutto falso, passai l’estate con moglie e figlia a Bari. In seguito naturalmente ebbi a pentirmi di quella scelta, rifiutavo di prendere atto del suo male! A consuntivo avrei trascorso ogni secondo con lei, acchiappato e goduto ogni attimo di vita di mia madre.
Mi capitò di riflettere su quel comportamento. Certo era un modo tutto mio di comunicare sentimenti, un po’ pragmatico nel far finta che non esistono problemi, per sdrammatizzare, alleggerire la gravità della situazione.
Ogni anno si passava l’estate in villa, grande a 3 livelli, a 30 km da Bari, fra Conversano e Cozze, nel punto più alto di quella collina, da cui si vedeva da un lato Polignano e Monopoli; dall’altro Mola e addirittura Bari. Isabella era orgogliosa di averla costruita nel paese dove era nata lei, i suoi genitori, io e mia sorella piccola, con l’aiuto di mio nonno, ex capo-cantiere, che aveva realizzato vialetti e panchine! Era il riscatto di un passato triste e tumultuoso!

CONVERSANO
Un centro agricolo con un ricco passato storico e culturale testimoniato dal castello.
Un tempo ci viveva un conte, Giangirolamo II, detto anche “il Guercio”, che esercitava lo ius primae noctis scrutando dalle torri le predestinate. A volte le sparava contro per centrare (come Guglielmo Tell con la mela!) l’otre d’acqua che portavano in testa. Tutt’oggi i conversanesi con orgoglio si dicono da esso discendenti…tutti figli del Conte.
La villa fu fortemente voluta da Isabella, status-symbol di chi come lei ce l’aveva fatta: 35 anni prima aveva lasciato Conversano con il marito Cenzino, da cui aveva divorziato ed era ritornata “alla grande” con un nuovo marito e 4 figli grandi, laureati. A volte la si poteva vedere orgogliosamente a braccetto con i figli maschi (la madre dei fratelli Gracchi!) passeggiare la sera in piazza, nel largo di corte a Conversano, facendo finta di non vedere Cenzino, l’ex marito, che, come un pazzo, le girava intorno fingendo di non vederla.

In quella stessa piazza, 35 anni prima Isabella passeggiava con le amiche. Si era diplomata nel ‘48, all’istituto magistrale delle monache benedettine.
Anche le monache benedettine avevano da rivendicare un passato molto glorioso: intorno al 200’, l’allora Badessa, femminista sin d’allora, intraprese e vinse una dura battaglia con la Diocesi locale per l’autonomia delle monache. Una bolla papale l’autorizzò a ricevere i voti e al bacio dell’anello, persino dai preti. Vivevano in clausura in un convento con un bel chiostro, vicino al castello. Lì, in quegli anni gestivano l’istituto magistrale. Ed era lì, con il mito della badessa, che si era formata e diplomata Isabella.
Aveva 18 anni e quell’estate si era iscritta all’Università, a Bari, facoltà di Lingue.
Bella, bellissima mediterranea, promessa sposa di un giovane medico in specializzazione a New York, tale De Girolamo, ma a quei tempi non c’era nessuno a Conversano che non fosse innamorato di lei. E naturalmente lo era anche Vincenzo, Cenzino in confidenza, 26 anni, bruno, capelli ondulati e con la brillantina, molto elegante, faceva il ragioniere a Bari alla “Sita “, una società di autolinee, primo di 11 figli di una famiglia napoletana sfollata nel barese durante la guerra.
Bello secondo l’epoca, “alla Amedeo Nazzari”, piaceva alle donne, simpatico agli uomini. Elegante la mattina col suo abito bianco, il pomeriggio in verde, la sera in blu. Fortunato al gioco, oltre alle donne gli piaceva bere e mangiare al ristorante.
Si dichiarava fascista e sembrava avesse avuto a che fare in passato con la Repubblica di Salò.
“ Ma vedi come ti guarda ! io ci farei un pensierino ! oltretutto è un gran bell’uomo!” Marisa, che aveva più esperienza, la incoraggiava. Pur promessa in matrimonio, Isabella era sensibile a quello sguardo che la seguiva anche in treno, la “littorina della sud-est”, quando con la sua amica andava a Bari, all’Università.
Dopo solo 3 mesi, contro il parere dei genitori, Isabella, già in cinta di me (frutto di un amplesso amoroso di fine anno 48’), sposò Cenzino. Viaggio di nozze a Pompei ed Amalfi, date le origini napoletane di lui. Andarono a vivere a Conversano, in via Zingari, esattamente a metà strada tra le abitazioni dei rispettivi genitori.
Il gusto matematico di Cenzino si applicherà però meglio dopo, nella pianificazione triennale della nascita dei 4 figli: prima io, M (nome del nonno paterno), dopo 3 anni F (nome del nonno materno), dopo altri 3 anni A (nome della nonna paterna) e dopo ancora 3 anni G (nome della nonna materna).
Il rapporto fu turbolento sin dall’inizio, c’era sfida. Dopo neanche un anno (settembre del 49’) Isabella mi partorì in casa con un piede, il sinistro, “equino”, praticamente storto perché spinta per le scale dall’infuriato e geloso Cenzino, durante la gravidanza. Solo dopo 7 anni di operazioni si riuscì a raddrizzare quel piede, cresciuto meno di quello destro per via della scarpa ortopedica, in compenso la cosa servì in seguito ad evitarmi il servizio militare e ad attribuirmi il 67% d’invalidità…che però non produsse alcun vantaggio economico.

Coerente con i tempi, tradizionalista e geloso della bella moglie, Cenzino le impose di interrompere gli studi universitari: “ non c’è bisogno del tuo lavoro, la donna deve stare in casa ad accudire i figli “. Isabella era insofferente a quelle regole. Trascorreva le sue giornate in casa con i figli, a Foggia, dove intanto si erano trasferiti per una promozione di Cenzino, e dove nacquero F ed A.
Io addirittura andavo da solo all’asilo! Sì, perché il primo giorno Cenzino dimenticò di venire a riprendermi. Tornato solo a casa, attraversando mezza Foggia, mi dissero che avevo dimostrato un grande spirito d’orientamento. Fu il motivo per cui non solo non vennero più a riprendermi, ma neanche ad accompagnarmi!
Isabella scalpitava: a 25 anni aveva già 3 figli, a Foggia! all’epoca una delle più brutte città d’Italia: “fuggidafeggiaperifeggiani”, senza amiche, interrotti gli studi universitari, un marito che tornava sempre più tardi dal lavoro e molto spesso restava a mangiar fuori con amici al ristorante, forse la tradiva. Ogni giorno di più si convinceva che non doveva adeguarsi e subire passivamente. I litigi diventavano sempre più violenti, soprattutto quando Cenzino aveva bevuto; un paio di volte s’era dovuto fermare Enrico, il fratello di lui, capitano dei Carabinieri a Pescara, a spiegare che così sarebbe finita male e che bisognava mediare per il bene della famiglia.
Isabella non si rassegnava: una notte durante un’ennesima lite per gelosia, Cenzino la picchiò in testa con una grande sveglia, dalla parte dei piedini d’appoggio. Isabella raccolse i figli e con una coperta volò alla stazione, il mattino successivo prese il treno per Conversano, si rifugiò dai genitori, che però non approvarono, perché il posto della moglie era accanto al marito, cosa avrebbero pensato i vicini conversanesi?
Il padre la riaccompagnò a Foggia, perché il suo posto era lì, con il marito. Arrivati però in casa, trovarono vomito ed avanzi di cibo dappertutto, armadi aperti, i vestiti di lei lacerati e sfregiati da un coltello; Cenzino in cucina, al solito ubriaco, avvolto in una nuvola di esportazioni senza filtro ( le sigarette nel pacchetto verde con la caravella), vide il suocero e ne ebbe paura. Lo temeva – due mani che se ti davano uno schiaffo, ti lasciavano per una settimana il segno delle dita – e infatti quello cacciò fuori una specie di pugnale e s’avventò su di lui. Fu Isabella a salvarlo, mettendosi in mezzo.
Per un po’ le cose si calmarono.
Cenzino era in carriera e fu trasferito a Bari, prese una bella casa vicino l’ufficio della Sita, al quartiere Japigia. Era uno dei pochi alla Sita in grado di far funzionare una specie di calcolatore elettronico; il chè significava responsabilità maggiori, ma anche ( erano gli anni 50’) il frigorifero, mobili nuovi, addirittura la tv, i colleghi in casa a vedere le partite dei mondiali … la finalissima Svezia-Brasile: Nordhall/ Hamrin/ Liedholm contro Pelè/ Didì/ Vavà.
Tale benessere era dovuto anche alla straordinaria fortuna che Cenzino aveva al gioco! Il tavolo da poker era sempre in funzione.
Le cose andavano decisamente meglio anche per Isabella: il trasferimento a Bari, oltre alla vicinanza a Conversano in cui vivevano i genitori, a cui a volte affidava qualche figlio, significava anche rivedere le amiche…Marisa D’Addabbo, dai gusti raffinati, sempre alla moda, single di gran classe e autonomia, molto desiderata dai colleghi di Cenzino, come Umberto Lamanna, strusciafemmine, che per non essere a sua volta cornificato aveva sposato una donna bruttissima. Marisa offriva ad Isabella la possibilità di ridurre le attenzioni degli amici del marito, fino ad allora concentrate solo su di lei. Marisa era lei se non si fosse sposata.
Anche con Cenzino le cose funzionavano: era capace di slanci e guizzi e passioni, soprattutto quando gli andava bene con i soldi…viaggi all’improvviso, quasi sempre a Capri. Cambiarono casa dopo un anno, da un quartiere periferico in una zona più centrale, sempre oltre la ferrovia però, perché non erano ricchi.
La domenica Cenzino portava i figli al lungomare. Una volta ci fu una disgrazia: nella fretta delle pulizie prima di uscire, Isabella fece bollire il latte in una ciotola di alluminio mentre mi lavavo i piedi sotto la cucina in una catinella. Il latte bollente mi cadde sulle spalle. Lei ricordò che al piano di sotto abitava un medico, Mario de Palma, questi immediatamente si prestò ad impacchi ed applicazioni che limitarono il danno ad una cicatrice sulla spalla sinistra. Curioso! i danni fisici li ricevevo sempre a sinistra: prima il piede, dopo la spalla.

MARIO
Il medico si chiamava Mario, calvo ma con bei lineamenti, quasi femminei; certo aveva pancetta e culo non da macho! Però il camice bianco, quella faccia buona e rassicurante, lo sguardo intenso e penetrante lo rendevano seducente. Aveva un modo sottile di sedurre: far intendere alla donna che può essere lei a condurre il gioco. Sembrava aver stampato sulla fronte: “io sono qua, sono buono, sono un medico, ti puoi fidare, ti curerò, risolverò ogni tuo problema basta solo che decidi”; insomma era tutto l’opposto di Cenzino, conflittuale dongiovanni che sceglieva, che prendeva, cacciatore, un po’ manesco, spaccone, guappo e guizzi.
Mario girava in vespa, sposato con Franca, una mora dagli occhi languidi, non aveva figli; cominciò a corteggiare Isabella sempre più insistentemente e lei, pur con 3 figli, ma trascurata dal marito, corrispondeva.
Un giorno Cenzino tornò a casa raggiante, aveva vinto qualcosa o aveva ricevuto una promozione: portò moglie e figli all’hotel Quisisana di Capri, 5 stelle lusso, il più costoso ed importante albergo dell’isola. Traghetto, grotta azzurra, piazzetta, ristoranti, cartoline…dopo una passeggiata con me, Isabella ne spedì una. Arrivati in albergo Cenzino ebbe la stessa idea di cartoline, io gli riferii che le aveva già spedite mamma. Lui chiese spiegazioni a Isabella e lei negò. Si precipitò all’ufficio postale dell’isola, trovò una cartolina della moglie a Mario: “ Ti amo! “ …che tragedia!
Ritorno precipitoso a Bari con Cenzino che voleva uccidere Mario: bussò alla sua porta mentre Isabella lo tirava e si frapponeva, Mario cercò di scappare, sua moglie non capiva, i figli di Isabella gridavano nelle scale e Cenzino impotente per la non-opposizione dell’amante gridava: “ ma come cazzo fa’ a piacerti sto stronzo- vigliacco- spelato- con la pancia e culo grosso?…forse perché ha la vespa?…ma io domani ti compro un macchinone e glielo faccio vedere!”
Il matrimonio andò in crisi, anche se nacque G, figlia della relazione con Mario, ma non lo sapeva nessuno, neanche Cenzino; gli altri figli lo seppero 20 anni dopo da me che lo avevo scoperto frugando tra le lettere di mamma.
In ospedale, Cenzino, che aveva assistito al parto e non sospettava che G non fosse figlia sua, pur lamentando le corna con la madre di lei, decise di superare il trauma della tresca. Ma non ci riuscì. Dopo qualche tentativo di ripresa del rapporto, deluso lasciò il lavoro alla Sita, la famiglia, Bari e per un po’ non si ebbero più notizie.

I dirigenti della Sita convocarono Isabella per comunicarle un ammanco di 7 milioni di lire provocato dal marito. Doveva restituire i soldi, il marito poi avrebbe potuto anche ritornare a lavorare, perché insostituibile al calcolatore elettronico. Isabella vendette tv, frigorifero, mobili, la madre vendette la salumeria e andarono a vivere tutti nel “sottano” dei nonni a Conversano, 7 persone in 2 stanze.

Cenzino mandava cartoline da Cannes e Montecarlo, dai casinò che frequentava, un giorno davanti al sottano si fermò un camion. Occupava tutta la strada e volevano scaricare un calcio-balilla regolamentare per me, un tavolo da carambola anch’esso regolamentare per F, una mini camera da letto per A che occupava una stanza intera…Isabella rispedì tutto al mittente, non c’erano occhi per piangere e quello mandava giocattoli enormi che avrebbero trovato difficoltà ad essere piazzati persino in una villa hollyvoodiana, figuriamoci nel sottano! L’orgoglio le impedì finanche di pensare a venderli.
Isabella prese a lavorare a Bari come impiegata in un deposito di birre, l’Itala Pilsen, distribuì i figli in collegi ed asilo-nido/orfanotrofio, io addirittura in un monastero benedettino, “probando”, in prova per diventare monaco, escamotage per pagare una retta minore di quella che pagavano i collegiali, che però tornavano in famiglia l’estate e durante le feste comandate. La domenica li andava a trovare con Mario, che nel frattempo aveva comprato una Fiat 600’. Ai figli disse di chiamarlo zio Mario, ai genitori nascose la ripresa della relazione.
Cenzino tornò a Conversano e con i carabinieri! voleva vedere i figli, trovò solo A, che piangeva, gridava e si rifiutava. Il capo-cantiere, padre di Isabella chiese ai carabinieri “ solo 5 minuti di carta bianca” per finire una volta per tutte Cenzino. Scomparve per 5 anni. Alcuni lo dicevano a lavorare in un ufficio postale di Milano.

Col tempo la situazione migliorava. Mario si affermava sempre più nella professione di medico, dalla Fiat “600”, passò ad una straniera “Anglia” della Ford. Isabella gli faceva da infermiera e manager perché lui si rifiutava di capire qualunque cosa avesse a che fare con il danaro, le relazioni e le incombenze pratiche del vivere, in più lei insegnava nelle scuole serali, quelle per studenti lavoratori, sfruttando il suo vecchio diploma magistrale. I genitori accettarono Mario, si trasferirono a Bari con la figlia che recuperava ad uno ad uno i propri figli da collegi e monasteri. Per via dell’adulterio non abitavano insieme. Mangiavano insieme, ma la notte Mario se ne tornava a casa sua, dove faceva anche ambulatorio medico, poco distante dalla casa di Isabella e della sua famiglia. Isabella impose ai figli di non chiamarlo più zio, ma babbo-Mario. Di Cenzino si sapeva solo che a seguito di una denuncia della moglie per sottrazione di assegni familiari avrebbe dovuto scontare 3 mesi di carcere a Firenze.

Un giorno mentre tutta la famiglia era a pranzo, squillò il citofono: “sono babbo, il vero babbo, aprite!”. Panico! Mario voleva fuggire scavalcando il balcone interno, Isabella e il padre volevano invece affrontarlo, alla fine si decise di far scendere me per dargli un “intrattieni” e permettere a Mario di fuggire.
Avevo 15 anni, primo anno di liceo scientifico, sognavo di fare l’avvocato per difendere mamma nei processi contro Cenzino. Nonostante il lavaggio del cervello a cui mamma mi aveva sottoposto e le violenze e le liti a cui avevo assistito e i vomiti da ubriaco e i vestiti lacerati, essendo il più grande dei fratelli ricordavo anche i momenti belli, gli slanci, i guizzi, la fantasia di mio padre. Insomma ne subivo sempre il fascino, soprattutto al confronto con quel non-uomo di Mario con i capricci da bambino. Però non gli perdonavo l’essersene fregato dei figli, averli abbandonati. Non sopportavo Mario, a cui erano dedicate tutte le attenzioni di mamma, ero geloso. Mancando il padre, mi toccava fare il capofamiglia. Non era adeguato a lei quell’uomo calvo, che sembrava perennemente in cinta, con pancia e culo grosso! Forse l’arrivo di mio padre avrebbe scombussolato quel legame che non mi coinvolgeva.
Cenzino acconsentì alla passeggiata e mi blandì : “fumi? Hai la ragazza? No, è inutile che tu perda tanti anni per studiare da avvocato. Finito il liceo vieni a lavorare con me. Vuoi questa scatola di cioccolatini allegata alla giraffa?” Un disperato tentativo di recupero di una comunicazione assente per molti anni. Mi veniva a prendere al liceo imbarazzandomi, perchè dovevo spiegare ad U’ Roll ed agli uroni chi fosse quell’uomo. E poi, non era venuto a prendermi all’asilo e veniva ora al liceo!

U’ROLL
U’Roll era il mio miglior amico! Lo conobbi alle elementari della “Carlo del Prete” a Bari e me lo ritrovai alle medie della “Melo da Bari”. Il capo riconosciuto degli Uroni. Si chiamava così perché ricordava Errol Flynn, l’eroe dei film “di cappa e spada”, l’attore che interpretò “La leggenda di Robin Hood”. Gli amici non ripetevano il nome per esteso, si fermavano a Eroll, quindi Roll, U’(che sta per “il”) Roll e di conseguenza la banda si diceva degli Uroni. U’Roll degli Uroni.
Curiosamente lo chiamavano così anche i fratelli, il padre, la madre. Addirittura in ufficio a Milano, molti anni dopo, se lo si chiamava al telefono con il suo vero nome la segretaria rispondeva che s’era sbagliato numero. Bisogna chiamarlo U’Roll.
Non era particolarmente alto e robusto, ma molto agile e ingegnoso. Sconfisse Terror (un omone che prese il soprannome da un brutto gorilla dei fumetti di Akim e che terrorizzava gli uroni più deboli), solo girandogli intorno e colpendolo quando era completamente esausto.
Finite le medie, tutta la famiglia si trasferì a Milano. Dopo qualche anno si mise a vivere di espedienti: scarrozzava con un pulmino ragazzi disadattati che si spacciavano per studenti dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e che raccoglievano fondi per la biblioteca allagata, in cambio omaggiavano i benefattori con scarti industriali di bagni schiuma, shampoo, cera lacca. Guai fare lo shampoo con quei prodotti! Molti attribuirono a ciò la calvizie successiva di U’Roll.
Ogni estate veniva a Bari, anzi a Mola di Bari per esattezza, dove i genitori avevano casa e trascorrevano l’intera stagione estiva, gli giravano molti soldi, in pratica mi “manteneva” per tutta l’estate. Ci veniva con fidanzate sempre diverse fino a quando non stabilì una relazione stabile con Josè.
JOSE’
Una ragazza di Bergamo, anzi un uragano di Bergamo era Josè. Alta, snella, lunghi capelli neri, andava subito al sodo, passionale e molto protettiva. Girava in moto con una kavasaki, una parlantina irrefrenabile che le serviva per vendere qualsiasi cosa, il miglior venditore di U’Roll, obbligatorio per lui innamorarsene. L’estate venivano giù in Puglia con uno dei pulmini di U’Roll, pieno di borse di detersivi e bagni schiuma, erano il budget delle vacanze. Caricavano me e la fidanzata dell’epoca, una ex milanese tornata a lavorare a Bari e partivamo senza soldi, ma con molti bagni schiuma. Josè provvedeva a piazzare gli scarti industriali per strada, Josè risolveva i problemi del mangiare e del dormire per tutti e quattro.
In realtà non vendeva quei prodotti terribili, ma se stessa con la sua sfrontataggine, la sua bellezza, il suo modo di fare. Se andavamo in campeggio, all’ora di cena si allontanava e dopo un po’ tornava con cibo e vino per tutti. Partecipava al concorso di miss campeggio e regolarmente vinceva.
Io ero spiazzato, non abituato a vedere la donna proporsi, chiedere qualsiasi cosa gratuitamente, pensavo sempre dovesse poi offrire qualcosa in cambio, mi stupiva la non gelosia di U’Roll; io no, non riuscivo ad adeguarmi a quel modo nordico di stabilire rapporti uomo-donna, per me era l’uomo che doveva risolvere i problemi della sopravvivenza. Cominciai a pensare che U’Roll fosse diventato una specie di magnaccia. Se si passeggiava, le ragazze esibizioniste ed appariscenti andavano avanti, io ed U’Roll dietro, qualcuno faceva qualche commento, io reagivo e m’azzuffavo, U’Roll rideva. .Una volta in pausa dalle zingarate con le 2 nordiche tornando a Bari raggiungemmo gli amici carrassini (Carrassi quartiere di Bari) che se la facevano davanti al “Rouge et Noir”, non sapevo che quel bar era diventato postazione fissa non più dei miei amici, che se la facevano di fronte, ma di malavitosi, uno dei quali vedendo le 2 nordiche pimpanti, si avvicinò alla mia compagna e con il rovescio del braccio le toccò il seno. Rabbioso, da buon meridionale, giunto all’altezza di costui feci lo stesso, regalandogli un buffettone col rovescio del braccio! Ci azzuffammo! quando dal bar uscì una specie di armadio fatto a uomo che gridava: LASSU’ A’ ME! (LASCIALO A ME), rivolto al malavitoso in zuffa, per nulla spaventato, l’adrenalina era a 1000, gli dissi: SI PUR A TE! Per fortuna intervennero i miei amici a salvarmi e mi spiegarono l’esproprio della location da parte dei malavitosi e che l’armadio era il capo si chiamava INNOCENTE DRAGO…ma tutto ciò poco mi fregava! Il mattino successivo da solo mi recai al Rouge et Noir, ma alla location degli amici, non c’era nessuno! C’era però INNOCENTE DRAGO di fronte, che guardandomi fece segno di raggiungerlo. Sapevo che avrei ricevuto mazzate ma la dignità mi condusse da lui. Innocente mi guardò e disse: U’ SE KATU SI’ PROPR CURIOSE? (lo sai che sei proprio curioso?) Mi offrì da bere e diventammo amici, tanto che giocavamo insieme a pallone contro quelli del BAR GALLO. INNOCENTE era boss riconosciuto e finì in galera per aver menato una prostituta, le rubò i soldi e addirittura uccise il suo magnaccia! Molti anni dopo andai in carcere per la tesi sperimentale sulla Casa Circondariale di Bari, che rispettava in pieno la tesi dell’architettura panottica di Michel Foucault (torre centrale da cui si controllano i raggi delle celle dei detenuti). La sorpresa fu ritrovare INNOCENTE, che accortosi di me gridò: U’ MI’ PUR TU IND A LA CLINICHE?(Miki pure tu in clinica?)
Josè entrava in un bar di un paesino sperduto in Calabria e davanti a dei vecchietti attoniti si cambiava gli assorbenti come se si stesse soffiando il naso.
Un’estate raggiunse gli amici con uno zio (?), che aveva una lunga Mercedes nera, lei era alla guida. Chiesi a U’Roll se conoscesse quell’omaccione grosso e calvo che Josè chiamava zio. Lui disse di non sapere se c’erano legami di parentela, però aveva visto Lotar (l’omaccione) filare a Bergamo Leda, un’amica di Josè che era stata finanche con Alain Delon e quindi per lui quell’uomo si accompagnava a lei per via dell’amica. Lotar si sedeva ai tavolini del bar della piazza di Mola di Bari, residenza estiva di U’Roll e in pochi minuti faceva fuori una quantità industriale di granite di limone. Partimmo in 5 per Milano: U’Roll, Josè, io e Lina (una mia fidanzata, di 1 anno più grande di me, anch’essa di origini settentrionali) con la Mercedes nera, Lotar non guidava mai, faceva divertire i ragazzi. Ci fermavamo in tutti gli autogrill dell’autostrada Bari-Milano, oltre alle consumazioni, Lotar pagava tutto quello che Josè riusciva a portar via: scatole di cioccolatini, biscotti, gastronomia locale, musicassette, ecc. A Modena la mercedes ebbe un guasto che i meccanici spiegarono con la fusione del motore, non riusciva più a superare i 30 km orari. Impiegammo 6 ore per raggiungere da lì Milano, dove lasciammo Lotar con la mercedes inutilizzabile.
Prendemmo un pulmino di U’Roll, lo caricammo di shampoo e bagni schiuma e partimmo per le vacanze. Arrivammo a Firenze e le 2 donne dal pulmino stesso incominciarono la vendita, mentre io e U’ Roll ci facemmo un portone elegante, appartamento per appartamento, che aveva insegne che sembravano d’oro, U’ Roll mi fece lezione: 2 squilli, uno è incertezza! Al citofono: “siamo insegnanti che vorrebbero parlare con lei”. Alla porta: ”stiamo raccogliendo fondi per l’Università Cà Foscari di Venezia, la nostra biblioteca è allagata e in cambio di questi detersivi chiediamo un contributo…quello che vuole lei!” Alla prima porta andò malissimo: ce la chiusero in faccia; alla seconda aprì una cameriera con il frontino in testa e vestitino da servitù…si prese i detersivi e chiuse la porta ringraziandoci; lo stesso alla successiva! Non prendemmo una lira…per fortuna c’era Josè!
Josè adorava U’Roll, lo difendeva da qualsiasi ipotesi di critica gli rivolgessero amici, parenti, conoscenti. Lui con lei si sentiva importante, era indiscutibilmente la donna della sua vita.
Un’estate lo vidi arrivare senza Josè. Seppi che si erano lasciati e che lei si era messa con un delinquente di quelli grossi, di uno delle bande di Vallanzasca. Era la donna del capo. Si faceva di anfetamine e di ogni tipo di droga e sapeva che non ne sarebbe più uscita. “ Se un giorno scopro che hai preso della roba ti ammazzo U’Roll!”
Una volta lui la vide per caso in una macchina con dei brutti tipi, aveva uno dei suoi pulmini della propaganda e li inseguì. Quelli andavano forte, anche lui. Quelli non si fermavano ai semafori, neanche lui. Finalmente si fermarono per trasferirsi in una 600’ per non dare nell’occhio. Lui arrivò e tirò a sè Josè che gli gridò di andar via, perchè avevano appena fatto una rapina! La sera lo raggiunse, aveva un sacco di soldi con se, gli dette una decina di milioni perché lo vedeva messo male e gli disse che quelli della banda, scherzando le avevano detto che volevano assumerlo come autista, vista la performance del mattino con il pulmino.
Dopo quell’episodio non si videro più. Un anno dopo U’Roll seppe che Jose era morta di cirrosi epatica.
Ancora U’Roll
Anni dopo fece davvero fortuna con le imitazioni di profumi griffati, andava a Grass, in Provenza e lì recuperava le essenze che un chimico poi assemblava riproponendo i profumi originali. Aveva una decina di pulmini, con cui scarrozzava gli stessi ragazzi disadattati. Il 75% era suo, il resto ai ragazzi. Guadagnava parecchio e continuava a venire a Mola ogni estate. Io studiavo e non avevo un becco di un quattrino, U’Roll pagava tutto. Ormai c’era differenza culturale fra noi due, però U’Roll suppliva con l’ironia e con una specie di dadaismo. Ogni estate c’era un tormentone: io parlavo e lui intercalava: un anno con “Tu sai”, l’anno dopo con “Si sa”, successivamente con “Sai tutto ormai”. Qualunque cosa si dicesse ripeteva solo quell’intercalare per quell’anno. Uno stava anche ore a parlargli, lui ogni tanto aggiungeva “tu sai”. Solo il terzo anno c’era il riassunto degli intercalari, quasi un discorso: “tu sai, si sa, sai tutto ormai”. Ne aveva a bizzeffe di tormentoni: un anno portò “non è facile”, l’altro “facile facile non è”, il terzo “direi che è quasi difficile”, e così via, per una nuova terzina.
Solo qualche volta per rafforzare aggiungeva un “davvero”.
Gli amici, le donne che si trascinava da Milano e che avevano avuto la gioia di assistere al parto del tormentone dell’anno e digerirlo per l’intero inverno, come automi da lui plagiati e contagiati non facevano altro che ripetere con lui: tu sai, si sa, sai tutto ormai.
Sapeva che con quei lavori non sarebbe durata a lungo. Ogni estate si riproponeva il problema di mettere la testa a posto. Però guadagnava parecchio per poter diventare regolare, anche se come studente-lavoratore aveva preso il diploma di ragioneria.
Giocava a carte, a calcio balilla, scommetteva su qualsiasi cosa con gli amici al bar di Bresso, periferia di Milano, anche 100.000 lire su chi arrivava prima all’angolo della strada. Quando scendeva a Mola, a Bari, faceva coppia con me, il suo luogotenente nella banda degli uroni e che nel mio dna avevo la fortuna al gioco di Cenzino, mio padre. Andavamo nelle bische a giocare a carte o al calcio balilla. U’Roll era più bravo, ma anche io non ero male. Insieme eravamo formidabili, avevamo i calli ai polpastrelli tanto che sembrava avessimo mani di contadino, erano invece dovuti alle stecche di biliardo. Mamma per ferirmi diceva che ero tutto mio padre, il brutto di Cenzino. Smisi quel vizio del gioco. Molti anni dopo in un circolo estivo frequentato da mio fratello F, in coppia con U’Roll mi trovai iscritto ad un torneo di calcio balilla a nostra insaputa. Naturalmente giocammo e vincemmo una coppa che ritirò F, il nostro sponsor.
Per quel vizio del gioco e delle carte U’ Roll si era messo in un brutto giro. Un capodanno mi telefonò dicendomi che gli avevano incendiato il capannone dei profumi e che non poteva uscire di casa, se no gli sparavano. Pur in crisi con la fidanzata dell’epoca, a cui avevo promesso un viaggio di riconciliazione, cambiai programma e mi precipitai con lei a Milano. U’Roll entrava in macchina e si sdraiava sul sedile di dietro per non farsi riconoscere.
Le mie fidanzate non erano affascinate da U’Roll, nonostante la sua incredibile somiglianza con il Blasco,Vasco Rossi e la sua vita spericolata, a volte firmava autografi in tal senso! Un’estate venne fuori un tormentone cantato da un ex Mano Negra, Tonino Carotone, che faceva “è un mondo difficile, felicità a momenti, futuro incerto”, lo trascinai al concerto, lui immediatamente se ne innamorò e ripetette per tutta l’estate quel tormentone, una volta tanto non inventato da lui.
Molti anni dopo andai a Milano per un’offerta di lavoro in un progetto di tv satellitare di un mio amico piemontese, che come me aveva diretto le cooperative culturali nella Legacoop della sua regione. Quando si fecero i Consorzi Nazionali delle cooperative, io diventai Presidente onorario di quelle dello spettacolo, lui del cinema e della tv. Più furbo di me trasformò il Consorzio Coop in una srl, ETA BETA, con cui gestiva la piattaforma D+ per le tv satellitari. Gestiva circuiti tv per le emittenti locali e aveva scoperto che dirigevo una tv interregionale, Antenna Sud, a cui offriva le produzioni di Odeon tv, Junior tv, ecc. Mi disse di lasciar perdere la tv locale e occuparmi di realizzare una tv sat del lavoro. Memore del rifiuto, anni prima, a lavorare a tempo pieno per il livello nazionale, che pure mi era stato proposto nello spettacolo (: sede a Firenze in via Nazionale, appartamento di fronte a gratis, addirittura collocazione al teatro La Pergola per l’allora mia compagna costumista…e io dissi di NO, “perché è facile la direzione nazionale, parli con ministri e dirigenti nazionali, il difficile è far crescere il Consorzio Regionale”, per cui lavoravo a tempo pieno…sangue e sudore tutti i giorni!)…accettai l’invito e mi recai a casa sua con la donna con cui avevo storia importante in quel periodo S, quella che più di tutte seppe stare con me. Lui, comunista, viveva bene in una bella casa alle spalle della Scala, di fronte alla movida di Brera! Aveva maggiordomo e servitù e la moglie aveva realizzato in casa una galleria d’arte di arredamenti. Prima di cena andammo in bagno per lavarci le mani e nel lavandino petali di loto come nei film giapponesi che avevo visto. Mi preoccupai di pulire il lavandino con la carta igienica (risate di S!) e mi asciugai le mani con degli asciugamani, che non mi ero accorto avevano un prezzo stabilito dallo scontrino! GRANDISSIME RISATE DI S! Dopo la cena di lavoro, in cui si stabilì il mio trasferimento a Milano e Roma (emolumento di 12.milioni al mese, senza contributi…per cui oggi piango con assegno sociale di 461€, questo mese con l’aumento di altri 200€!), e passeggiata nella movida con S, ci incamminammo per Brera, l’east village di Milano! Non eravamo allegri perché capivamo che la vita stava cambiando. Lei era in lacrime e non si rassegnava al possibile cambiamento della nostra vita, io la consolavo promettendole che nulla sarebbe cambiato e che avrei fatto di tutto per trascinarla con me!
Ad un tratto seduto in un bar all’aperto vedemmo U’Roll! Era incredibile, senza appuntamento in una città di oltre 2 milioni di abitanti, a quell’ora, in quel posto, per caso e proprio quella sera rivedevo U’Roll! Lei: “no, U’Roll no adesso! Fai finta di niente”. Figuriamoci, rifiutare quel segno del destino! Le preoccupazioni furono messe da parte dal racconto dell’amico. “Miki, ora tutto è regolare, ho un’ autorizzazione per raccogliere fondi per un’associazione di handicappati, dò la ricevuta per ogni versamento. Il 25% ai ragazzi che stanno ai tavolini, il 25% a me ed il 50% all’associazione”. Straordinario! S’era ancora una volta inventato un sistema di sopravvivenza. Fino a quando gli funzionerà quel cervellino, non morirà mai di fame U’Roll!

CENZINO e ISABELLA
Cenzino convocava Isabella dai carabinieri perché gli facesse vedere i figli, lei trascinava me, il primogenito, che, puntualmente indottrinato dalla madre, dichiarava che né lui, né i suoi fratelli avevano alcuna voglia di vederlo. Allora mise in atto una strategia diversa. Si piazzava all’ingresso della strada senza uscita, in cui vivevamo, dalle 8,00 di mattina a sera tardi, impedendo a Mario alcun rapporto con la sua ex famiglia. Ogni giorno. Estenuante! Sempre elegante, sempre con un abito diverso, un trench sulle spalle aveva preso a fumare la pipa, sempre a quell’angolo. Una tortura per Isabella, che un giorno dal balcone gli fece cenno di avvicinarsi. Appena le fu a tiro, giù un vaso! Il giorno dopo un titolo del giornale locale commentava: “TORNA PER RIVEDERE LA FAMIGLIA E LA MOGLIE LO RICEVE A VASI IN TESTA”.
La strategia di Cenzino non ebbe successo. Ci furono altri tentativi di convocazione dai carabinieri, dai commissariati. Niente. L’esito era sempre lo stesso: i figli non lo volevano vedere! Cenzino fu costretto a desistere. Si ritirò a Conversano nella casa paterna, circondato dai fratelli e dalle sorelle e dai loro nipoti e non se ne seppe più niente. Anni dopo qualcuno mi riferì che si era risposato e addirittura aveva avuto un figlio, lo aveva chiamato come me… Non era vero niente! Anzi: diceva che era sposato con Isabella e aveva 4 figli!

Isabella consolidò il suo rapporto con Mario, la legge sul divorzio ne permise il matrimonio. Presero in fitto una casa più grande, dove vivevano anche i nonni, ad angolo con la strada senza uscita in corso Sicilia, avevano un giardino ed il medico riuscì a collegarci l’ambulatorio con ingresso autonomo. Lei lo gestiva come si fa con un menomato, gli creava sicurezze, imponeva ai genitori e ai figli il rispetto e la gratitudine che si deve a chi, solo per amore s’era accollato 4 figli non suoi e i genitori a carico.
“Buon giorno, buona sera, buon appetito, grazie, prego” ed ancora “non disturbate babbo quando fa le visite, fatevi la stanza e pulite la casa prima di uscire che vi do 1000 lire, dovete avere pazienza con il bagno, se babbo ha bisogno ci va prima lui” e cose di questo genere.
La domenica andavamo al mare a Savelletri, dove ci fermavano a pranzo in trattoria. Non prima di qualche visita a domicilio che babbo Mario aveva da fare. Ogni domenica c’era l’illusione che quella volta si andasse presto a mare. Alle 9,00 tutti in macchina ad aspettare Mario, che lentamente arrivava, regolava lo specchietto retrovisore, prendeva la pezzolina della polvere e quasi con sadismo (ma era per rimarcare il suo potere!) puliva tutti gli interni dell’automobile, usciva per vedere se nella notte fosse successo qualcosa alla carrozzeria, tutto mentre la macchina era in moto per riscaldarsi, manco fosse un diesel. Quando il motore era praticamente bollente lentamente partiva. Prima le visite a domicilio, verso le 13,00 via per il mare! Mario alla guida, Isabella al suo fianco con G in braccio, dietro i nonni che tenevano in braccio F e A, quindi io. 8 persone nella Ford Anglia!
In quella formazione andammo per anni in Trentino, nel Cadore, perché a Mario piaceva molto la montagna d’estate, ai ragazzi piaceva invece il mare, ma ciò era irrilevante. Tappa d’obbligo a Padova, nella basilica di Sant’Antonio. Tutta una tirata con qualche riposino nelle piazzole di sosta. La guida di Mario era tranquilla, lenta ma sicura. Ogni tanto faceva provare l’ebbrezza di un sorpasso, ma subito dopo si pentiva e si faceva riprendere. Dopo qualche anno permutò l’Anglia con una Cortina sempre della Ford. Era finalmente arrivato!
Aveva ricevuto l’incarico di medico del carcere di Bari, in aggiunta ai 1500 mutuati del suo ambulatorio. Lui lavorava, Isabella amministrava, i figli lo rispettavano, io ero sempre recalcitrante. Mario comprava in carcere le sigarette di contrabbando e le custodiva nell’armadio della camera da letto. io con la complicità di F, mio fratello, quando la coppia andava al cinema o alle feste di amici, ne approfittavo per rubare le sigarette, sostituirle con mollette e richiudere accuratamente i pacchetti. Le grida di Mario si sentivano in tutto il palazzo quando se ne accorgeva: m’hanno fregato di nuovo, maledetti contrabbandieri, ma vedrete che gli combinerò! Sapeva solo gridare, con Isabella a dargli manforte! Una volta si permise di inveire contro un netturbino, che secondo lui non faceva bene il suo lavoro. Sprezzante gliene disse tante che quello non ne potette più, decise che lo avrebbe menato. Lui scappò dentro casa e chiese aiuto, intervenimmo io e il nonno manesco per calmare l’infuriato!

Un’altra volta si presentarono in casa due facce brutte. Erano i fratelli di una minorenne che F aveva sedotto e volevano una riparazione, una promessa di matrimonio per quando F si fosse laureato. Mario si volatilizzò e quelli furono affrontati da Isabella e da me. Rendendosi conto che non era l’affare della vita se ne andarono con qualche rassicurazione del tipo “si vedrà”. Successivamente gli amici mi dissero che mio nonno aveva accoltellato uno di loro, perchè aveva in precedenza sfottuto per strada Isabella e mia sorella, nonostante loro non avessero detto niente al nonno, conoscendolo! mentre io ebbi a vedermela con “Ze Purk”, (zio porco della ragazza sedotta da mio fratello) scambiato per F (mio fratello), fui fermato per un regolamento di conti. Quando Ze Purk capì l’errore fece marcia indietro e mi chiese scusa, mi azzuffai lo stesso! Qualche giorno dopo ero in macchina con Vanni, leader degli amici del bar “Rouge et Noir”, passò Ze Purk, che se la faceva al rivale “bar Gallo”, mi vide e mi chiese di uscire dalla macchina. Fu più veloce Vanni a tirare verso il finestrino della macchina Ze purk per i capelli e a lasciarlo solo quando il vetro diventò completamente rosso del suo sangue.

L’autorità di Mario nella famiglia era tollerata dai figli e dai nonni e legittimata da Isabella, che era la sola a comandare veramente. Lui gridava, sbraitava ma non poteva alzare un dito contro i figli di Isabella, a cui lei invece, per riparare, spaccava piatti in testa e picchiava a sangue quando ce n’era bisogno, assicurando quell’ordine e disciplina che Mario richiedeva. Tutto si reggeva per la paura che Mario potesse scocciarsi e andare via, facendo venir meno quel sostentamento che Isabella sapeva necessario per poter garantire ai figli l’istruzione e il benessere.
Nonostante gli alti e bassi della vita, Isabella riusciva reggere l’equilibrio di un menage così complesso e di così tante persone. Anche l’economia cresceva. Comprarono 2 appartamenti in corso Sicilia, era il territorio dell’ambulatorio di Mario ed iniziarono i lavori della villa di Conversano. Il nonno costruiva vialetti e fontane.

Isabella organizzava l’attività e le relazioni di Mario, che in questo proprio non ci sapeva fare. La sua bellezza, il fascino, la capacità di occuparsi di tutto, la voglia di apprendere attraevano uomini e donne che volentieri trattenevano rapporti di amicizia con la coppia. Mario era soddisfatto di come la sua compagna gli organizzava la vita, le serate, i viaggi, le feste, le cene in casa con gli amici, anche se non era in grado di reggere il confronto, lo scambio culturale. Si rifugiava nell’ironia greve, nelle battute erotiche a doppio senso, tipiche di chi non ha argomenti robusti. Sapeva fare il medico e questo era sufficiente. Isabella era incantata quando incontrava gente che aveva qualcosa da dire in politica, in cultura e che si avvicinavano a lei naturalmente attratti.
Nonostante le qualità della sua compagna e la bellezza che la faceva desiderare finanche ai miei amici, Mario la tradiva! Sfruttando il carisma del camice bianco intratteneva relazioni sessuali con infermiere, clienti, amiche.
Si era creato un pied-a-terre a Modugno, vicino Bari, dove si vedeva con una giovane infermiera, tra l’altro bruttina con cui decise addirittura di andare a vivere.
Isabella era distrutta. Aveva lasciato correre le scappatelle, ma quella volta la cosa aveva assunto dimensioni più gravi. Messo al corrente della cosa mi sfregai le mani: non vedevo l’ora che si potesse mettere una pietra su quell’uomo che non mi era mai piaciuto.
L’occasione di Mario, andato a vivere con l’amante, era ghiotta per cercare di convincere mia madre a lasciarlo perdere e che era meglio così. Invece fu Isabella a convincermi ad andare con un suo amico giornalista, Umberto Mairota, a far allontanare l’infermiera. Furono sufficienti 200.000 lire per far desistere chi si era già pentita della scelta di quell’uomo in cinta, che avuto quel che cercava, voleva abbandonarla, nonostante la poveretta avesse tentato anche un suicidio per lui!

Mario tornò e dettò le condizioni. Non voleva più in casa i genitori di Isabella, che infatti andarono a vivere nel pied-a-terre che aveva preso in fitto a Modugno, paesino vicino Bari… ed i figli dovevano rispettarlo e stare alle sue regole, altrimenti se ne potevano anche andare per i fatti loro (naturalmente si riferiva a me!).

ULTIMO ANNO AL LICEO

Non ricordo perchè l’ultimo anno del liceo scientifico non lo feci al Fermi, ma in un Istituto privato “Domenico Cirillo”, dove si svolgevano studi medi/liceo scientifico/ classico (ricordo nel classico Ludovico Abbaticchio, in seguito medico-assessore; Corrado Petrocelli, in seguito Rettore Universitario) frequentato da studenti solo maschi! Quella classe del V° scientifico era frequentata da transfughi di altre scuole, diciamo pure la feccia studentesca: quelli del IV° ci dissero di una supplente spocchiosa che sarebbe venuta il giorno dopo da noi. Al suo arrivo, uscimmo tutti dall’aula! Lei chiamò il Preside, che ci fece ritornare. Mentre faceva lezione tale Testini si abbassò le mutande, alzò il culo per farlo vedere a chi stava dietro e scorreggiò! La supplente sentì il rumore e ordinò: CHI FA QUESTI VERSI? Ippolito D’Ettore di rimando: SARA’ CERTAMENTE UN POETA! Erano scoppiati i moti studenteschi del ’68, le occupazioni delle scuole ed eravamo nel’69 (numero indicativo e non dico le battute di quell’anno!). Io organizzavo gite e veglioni con lo slogan SI AL VEGLIONE, NO ALL’OCCUPAZIONE (anche perchè eravamo tutti maschi e nella scuola occupata non avremmo saputo che fare!). Per far soldi organizzai una gita a Taranto: visita alla villa Peripato, giro in nave nel Mar Piccolo e conclusione sulla spiaggia di Pulsano. Il problema era il tasso di virilità del Cirillo e nessuna adesione! Così entrai in dialogo con le studentesse del “Preziosissimo Sangue”, anche loro in occupazione di quell’Istituto Femminile. E dissi ai miei del Cirillo che alla gita avrebbe partecipato il Preziosissimo Sangue con un altro pulman che ci avrebbe raggiunto alla spiaggia di Pulsano. BOOM DI ADESIONI! I miei compagni di classe fuorilegge: DERUV JE’ VER STU FATT? Non andai alla gita, ma dissi ai miei aiutanti organizzatori: CERCATE DI PERDERE PIU’ TEMPO POSSIBILE ALLA VILLA PERIPATO, SULLA NAVE E ARRIVATE TARDI A PULSANO, IN MODO DA FAR SUPPORRE CHE IL PULMAN PREZIOSISSIMO SE NE FOSSE GIA’ ANDATO VIA! Dopo mi raccontarono che i cirillini non ne volevano sapere proprio di Peripato e Nave…volevano andare subito a Pulsano! La sera ero nella Mini Minor della mia fidanzata Lina, in attesa del loro arrivo, per pagare gli autisti: Arriva il pulman e sento i cori: DERUVO, DERUVO,DERUVO…DERUVO NEL BUCO DEL CULO,VAFFANCULO, VAFFANCULO!…Scendono e i più grandi si avvicinano alla Mini, bussano al finestrino chiuso e io lo apro per affrontarli…Il più malavitoso, soprannome Mujesan (ex calciatore del Bari), mi fa’: DERUV, NO  E’ STATO BELLO! MA CE VENIV TU,IEV MEGHIE! ( ma se venivi tu era meglio!)

Ormai grandicello, avevo 19 anni ed era il ’68,  frequentavo i circoli anarchici della città, le canzoni di De Andrè sul maggio francese (“Anche se il nostro maggio ha fatto a meno del vostro coraggio, se la paura di cambiare  vi ha fatto chinare il mento, se il fuoco ha risparmiato le vostre 1.100…provate pure a credervi assolti, siete lo stesso coinvolti!”) gli ideali della gioventù e della rivoluzione francese: uguaglianza,  giustizia,  libertà. Qualche tempo prima, una domenica a pranzo con tutta la famiglia, nonni compresi, dovetti sorbirmi una filippica di Mario contro Minguccio, il portiere del palazzo, che aveva visto con un’enorme guantiera di dolci.

-“Io che sono un professionista, un medico non mi posso permettere di comprare tutti quei dolci e Minguccio il portiere sì? Ma dove siamo arrivati? Eppure sapete bene che sono un socialista!”.

-“Sì, ma Minguccio non porta la moglie e la famiglia in montagna o in crociera come fai tu. E che sarà mai una guantiera di paste la domenica?” gli risposi. Contraddetto davanti a tutti, messa in discussione la sua autorità da un ragazzetto che non sapeva niente di politica, andò su tutte le furie, rosso in faccia, mi lanciò contro una forchetta. La scansai, presi un coltello e mi avventai su di lui. L’enorme mole della nonna che si era frapposta mi fece cadere a terra e le botte del nonno capocantiere fecero il resto.

 

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