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Home›Attualità e Cronaca›XYLELLA, LA BANALITÀ DEL MALE

XYLELLA, LA BANALITÀ DEL MALE

By Miki de Ruvo
17/07/2018
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TUTTI IN PIAZZA ALDO MORO!
Sabato 21 Luglio, ore 18,30 “Bitonto Città dell’Ulivo”

Interverranno: Dott. DAMIANO STELLACCI;

                            Dott. ANTONIO DE FRANCO;

                            Ag.re ROBERTO POLO;

                           Sen.  LELLO CIAMPOLILLO;

                                     GINO ANCONA;

                 Conduce:  STEFANIA BOVE;

secondo il pensiero di Boscia, Silletti, Savino, Martelli, Saponari, De Castro, Martina.
Di Antonio De Franco
La tesi di questo opuscolo:
La particolarità di questo scritto consiste nel fatto che è estraneo alle dispute ideologiche che si sono sviluppate dal 2014 ad oggi tra i due fronti, quello xylellista (che sostiene la necessità di adottare misure di quarantena sotto l’egida e con misure coattive dei poteri pubblici) e quello complottista (che sostiene che l’infezione batterica sia un pretesto ordito a tavolino per conseguire degli scopi inconfessabili speculativi). L’autore non è un complottista bensì uno che ha attentamente ascoltato e letto chi, basandosi su solide basi scientifiche, ha mostrato di sapere molto sul batterio Xylella. Quanto di seguito si sostiene è fondato su dichiarazioni e opinioni rese nel periodo che va dal 2013 ad oggi, da Boscia, Silletti, Savino, Martelli, Saponari (messe in relazione con i contenuti degli atti rilasciati dall’E.F.S.A. in merito alla batteriosi). Seguendo le loro stesse convinzioni e lo sviluppo logico del loro ragionamento scientifico-tecnico, giungo a soluzioni di ordine operativo, opposte rispetto alle procedure di quarantena prescritte dalla Unione Europea, ivi compreso lo sradicamento degli alberi di ulivo.
Nulla di quanto affermato da chi ha l’esclusiva della conoscenza in materia di Xylella applicata al disseccamento dell’ulivo viene qui contraddetto. In perfetta coerenza con le asserzioni teoriche di principio di costoro, in seguito all’approfondimento si possono stabilire concludentemente le seguenti impostazioni operative:
A. La quarantena e le misure di contenimento per evitare la diffusione della Xylella sono perfettamente inutili.
B. Gli alberi che evidenziano la presenza del batterio vanno curati e non sradicati affidando la cura a chi conduce la coltivazione.
C. I contributi pubblici erogati per contrastare il batterio vanno indirizzati in due direzioni: a) Finanziare la ricerca scientifica per stabilire misure efficaci per guarire dal disseccamento rapido dell’olivo; b) Erogare contributi aggiuntivi ai coltivatori che sanificano le piante e provvedono alle buone pratiche e, di converso, diminuire il premio P.A.C. per chi non lo fa.
D. L’emergenza sociale e produttiva riguardante il disseccamento rapido dell’ulivo è del tutto infondata e costituisce un procurato allarme e siamo di fronte ad una calamità naturale.
LA QUARANTENA
La Xylella è batterio da quarantena in virtù degli effetti disastrosi manifestati precedentemente a partire dagli anni ’90 d.s.s. nelle piante ospiti nelle Americhe, precisamente – quelle più importanti per la rilevanza economica avendo riguardato coltivazioni di produzione agricola di pregio – sugli agrumi in Brasile e sulla vite in California.
La quarantena consiste in delle procedure di isolamento del materiale vegetale (piante e parti di piante) e nasce per impedire che si muova da un territorio di origine ove esiste l’infezione batterica in territori indenni, al fine di evitare la diffusione della fitopatologia, ed è riferita al rischio che il disseccamento di agrumi e vite dal continente americano si diffonda nel vecchio continente mediante l’introduzione di piante e parti di piante contenenti il batterio. Partendo dal fatto che ci si trova di fronte ad un batterio considerato agli effetti del commercio internazionale “da quarantena”, le autorità statali italiane e quelle della U.E. hanno ritenuto di dover pensare ad un isolamento del materiale vegetale infetto ed alla sua distruzione allorquando la Xylella è stata trovata negli ulivi: Qui non si tratta di bloccare lo spostamento di materiale vegetale ma si tratta di isolare, mettere in quarantena appunto, un intero territorio distruggendone il materiale vegetale ospite, cioè l’ulivo.
Ora che il batterio è insediato nel Salento osserviamo attentamente su quali piante produce i suoi effetti dannosi e come li produce allo scopo di capire in cosa consiste effettivamente la quarantena, l’isolamento della zona infetta ed il contenimento della batteriosi. La variante salentina del batterio, Xylella Fastidiosa Pauca del Co.di.R.O., non si insedia nelle piante di agrumi e nelle piante di vite e, quindi, nei nostri territori non danneggia queste produzioni. Essa si insedia solo nell’ulivo, e – attenzione – non in tutte le cultivar di ulivo bensì solo nelle varietà Cellina di Nardò e Oglialora. E’ già stata provata la resistenza al batterio delle varietà di ulivo Leccino, Frantoiana (detta anche: Cima di Bitonto, Ogliarola Garganica, Paesana, Baresana, Marinese, Nostrana), Coratina, Pendolino, Bella di Cerignola e Cipressino.
Quindi i rischi di epifitia che si intende, se non eliminare, almeno circoscrivere, non esistono di fatto. La quarantena del Salento non ha alcuna utilità, non è finalizzata per gli scopi per cui è stata prevista. La diffusione del batterio riguarda in particolare, se non esclusivamente, delle piante che si trovano coltivate in grande estensione solo nelle aree dove il batterio è ormai insediato e con presenza assolutamente residuale e insignificante nel resto d’Italia e d’Europa. Il rischio che il batterio aggredisca gli oliveti del nord della Puglia è da escludere atteso che gli oliveti del barese, dell’andriese-barlettano, intorno a Cerignola e del foggiano consistono di cultivar resistenti al batterio. Parimenti nessun rischio vi è per le colture (ospiti asintomatiche del batterio?) di maggior pregio commerciale, vite e agrumi da cui ha avuto inizio il tutto col divieto di movimentazione fuori dai territori di origine nelle Americhe. Mentre non sono riuscito a trovare nessuna analisi riguardante il ciliegio salvo il fatto che è stata accertata come pianta ospite. Ma evidentemente la presenza è asintomatica, cioè non produce il disseccamento della pianta, poiché dal 2013 non vi è letteratura in merito.
Occorre capire bene come si struttura questa quarantena (del Salento, che è diversa da quella, a cui ci si è ispirati e si sono prese le mosse, prevista per il commercio internazionale): La provincia di Lecce insieme ad una stretta fascia finitima a est di quelle di Brindisi e Taranto, è dichiarata “area infetta”, cioè area ove il batterio è ormai insediato stabilmente e definitivamente (poiché secondo lo stato delle conoscenze scientifiche esso non è eradicabile, non ce ne si può liberare non esistendo una profilassi per eliminarlo ma ci si deve rassegnare a conviverci. Poi, attaccata a questa verso ovest, vi è un’altra fascia della larghezza di venti chilometri, che è individuata come “area di contenimento” mediante e nella quale si vuole attuare la quarantena. Oltre di quest’ultima vi è l’”area indenne”, corrispondente a tutto il restante territorio nazionale (decreto Ministero Politiche Agricole, 04/02/2016). Quella indenne è l’area da salvaguardare dalla diffusione del batterio con le azioni da porre in essere nell’area di contenimento, questa è la “nostra” quarantena. La fascia dell’area indenne finitima all’area di contenimento, insieme a questa, costituiscono l’”area di sorveglianza”. L’area di sorveglianza è quella in cui operare i controlli puntuali sulle piante onde accertare la presenza della Xylella così da intervenire in modo mirato per eradicarla.
Le misure di contenimento del batterio non sono finalizzate, quindi, per curare l’area infetta bensì per evitare l’ulteriore propagarsi del batterio nelle aree considerate indenni e libere da esso. Lo sradicamento degli alberi infetti serve a questo: a contenere la propagazione oltre il Salento. Ebbene, dal momento che la quarantena contro la Xylella del co.di.r.o., come ben spiegato sopra, non ha alcuna finalizzazione concreta per lo scopo per cui è prevista (in quanto il batterio non produce effetti di disseccamento in altre colture e piante che non siano quelle olivicole dove è ormai insediato, Cellina e Ogliarola), non ha alcun senso abbattere delle piante che, peraltro, esteriormente sono perfettamente sane e in piena vegetazione solo perché sono state trovate infettate dal batterio. Le autorità, infatti, ci dicono che spesso la presenza del batterio è asintomatica non producendo alcun disseccamento. E’ più proficuo, allora, far sì che l’olivicoltore aiuti la pianta a salvarsi facendo in modo che essa, non potendolo eliminare del tutto, almeno riesca a convivere col batterio.
IMPOSSIBILITA’ DI UNA EFFICACE QUARANTENA: NON GARANTISCE IL CONTENIMENTO
Il contenimento del batterio non è solo inutile ma è anche impossibile. Il batterio si diffonde per il tramite di vettori che, ospitandolo, lo diffondono. Il vettore più diffuso è un vermetto, la Sputacchina. Per impedire ai vettori di diffondere il batterio occorrerebbe chiudere fisicamente la zona infetta: Cosa impossibile (come è facile intuire).
I precedenti riguardanti misure di quarantena attuate sul continente europeo sono due e non riguardano un organismo monocellulare del regno animale qual è appunto la Xylella, che è un batterio, bensì sono stati attuati come contromisura per due organismi pluricellulari come il Nematode del Pino in Spagna e il Tarlo Asiatico delle Latifoglie in Austria. Bloccare un animale pluricellulare, per quanto piccolo, è un conto, lo si individua, lo si isola e lo si uccide. Bloccare un batterio è ben altra cosa. Per fermarlo ci si affida al divieto di trasferimento delle piante ospiti. Ma le piante potenzialmente ospitanti la Xylella sono innumerevoli per cui il batterio potrebbe diffondersi in tanti modi diversi, nascosto in un alto numero di piante e parti di piante. Poi ci sono i vettori. Questi ultimi si possono diffondere in tanti diversi modi collocati su veicoli, vestiti, treni, animali e via di questo passo, vento compreso che li spinge per centinaia di metri di distanza.
Peraltro il contenimento nasce col piede sbagliato – questa critica è rivolta all’operato del generale Silletti – per cui la stessa azione del contenimento è stata ritardata risultando in parte compromessa. Mi spiego. Le ispezioni tese a stabilire l’eventuale presenza del batterio nell’area di contenimento, sarebbero dovute cominciare dall’area di sorveglianza e non sarebbero dovute partire, come invece è stato fatto, dall’area infetta andando in direzione ovest. Bensì i controlli avrebbero dovuto essere avviati fissando un asse nord-sud in piena area indenne, a margine di quella di sorveglianza (più o meno la verticale Bari/Taranto) e, partendo da questo asse, eseguire i controlli sugli alberi andando in direzione est, verso l’area infetta. Invece nel modo in cui si sono operati i controlli non si è fatto altro che inseguire il batterio nella sua propagazione vanificando la già probabilistica, efficacia dello sradicamento puntuale preventivo.
NON ESISTE UNA CURA PER LA XYLELLA. MA NON VUOL DIRE DIVIETO DI COLTIVARE
Ovviamente si parla di contenimento, e non di eliminazione, per la ragione che non esistono cure per debellare la Xylella. La scienza non ne ha ancora scoperte.
Per tale ragione quando in un territorio il batterio ormai è insediato stabilmente nelle piante ospiti, non si dà più luogo al contenimento di contrasto della sua diffusione per cui non vi è più una emergenza. Bensì ci si limita a svolgere la coltivazione dando corso alle ordinarie pratiche agrarie di norma attuate, ovviamente osservando le prescrizioni delle buone pratiche agrarie e dei trattamenti fitosanitari, il tutto finalizzato – se non a eliminare del tutto – almeno a diminuire il disseccamento (laddove si è presentato, ovviamente).
E’ per questo motivo che si parla di “zona infetta”: Cioè zona in cui il batterio è ormai insediato in forma stabile per cui nulla si può fare per eliminarlo (come detto la scienza ancora non ha individuato un ritrovato per la bisogna). Il Salento deve imparare a conviverci.
Da qui a pretendere da parte delle autorità di prescrivere agli olivicoltori e proprietari quale tipo di cultivar è da piantare nella penisola salentina, obbligandoli così a sottostare ad una vera e propria privativa da parte della pubblica amministrazione (senza autorizzazione, non pianti), ne corre. La sostanza della cosa non è altro che una intollerabile invasione di campo della burocrazia nella attività di impresa per nulla giustificata dall’interesse pubblico e una compressione dell’altrimenti libero e incondizionato godimento del diritto di proprietà.
Non vi è nessun nesso logico tra la premessa: Il Salento è area dove il batterio è ormai endemico e insediato; e la conclusione: Nel Salento siete obbligati a piantare solo le specie di olivo stabilite per decreto.
Riepilogando: Le piante di ulivo che non manifestano disseccamento, o perché non hanno la Xylella o perché sono asintomatiche, continuano a vivere e ad essere coltivate. Esse sono la maggior parte. Se si mette a dimora una nuova pianta sarà lo stesso olivicoltore che saprà fare la migliore scelta, se lo vorrà potrà anche, a suo rischio e pericolo, piantumare Cellina di Nardò e Oglialora forse, chissà, avendo fatto esperienza che i suoi olivi non sono stati colpiti dal disseccamento o ne sono guariti o solo perché vuole affrontare l’incerto del rischio e cimentarsi contro il batterio. Ma comunque sarebbe questo un atteggiamento estremo minoritario, mentre la gran parte, se non tutti, gli olivicoltori sapranno scegliere le cultivar resistenti al batterio o asintomatiche senza bisogno che vi sia un decreto ministeriale o regionale a dirgli cosa può o non può fare, e cosa deve fare (addirittura dietro preventiva autorizzazione!).
L’obbligo verticistico per decreto integra una sorta di “dichiarazione di incapacità” del coltivatore. Una mortificazione del tutto inutile le cui conseguenze sarebbero negative per il suo spirito d’iniziativa che ne uscirebbe tarpato e diminuito. Ma la migliore produzione olivicola è ottenuta dal miglior connubio tra alberi e coltivatore. Pertanto la miglior cosa per il bene della produzione olivicola è quella di mettere l’agricoltore, l’olivicoltore nelle condizioni ideali per svolgere le migliori pratiche agrarie che permettono all’albero di continuare a vegetare, vivere, prosperare e produrre.
E’ chiaro che la pretesa di imporre specifiche e particolari cultivar nel piantare un nuovo oliveto, in un contesto di misure ordinarie non emergenziali, tradisce lo spirito dirigista di chi sostiene l’esistenza di una “emergenza” ovvero quello di attuare, imponendolo, uno specifico tipo di coltivazione e uno specifico modo di coltivare.
Tale atteggiamento dirigista (per usare un eufemismo) è ulteriormente dimostrato dal fatto che, di converso, non sono state introdotte misure premiali per quegli olivicoltori che dimostrano di essere riusciti a recuperare la pianta, già affetta dal disseccamento rapido, ad uno stato vegetativo ottimale: Evidentemente nelle priorità programmate da chi sta affrontando questa crisi, non vi è quella di perpetuare l’attuale assetto produttivo olivicolo nel Salento ma si vuole ottenere l’opposto. Eppure, nessuno sostiene che l’ulivo non possa convivere col batterio, anzi le statistiche ci dicono che vi sono piante che pur ospitando il batterio sono asintomatiche cioè non presentano alcun disseccamento.
L’obbligo stabilito per decreto di mettere a dimora piante resistenti al batterio, a rigor di logica, dovrebbe riguardare la zona indenne, non quella ormai infetta o di contenimento. Ma l’obbligo deve essere esplicitato in senso negativo, cioè elencando le cultivar di cui è vietato il trasporto e l’impianto (di cui è stata accertata la non resistenza al disseccamento rapido) ma non, come è stato fatto, in senso autorizzatorio elencando le cultivar che in via esclusiva possono essere impiantate.
L’ABBATTIMENTO DEGLI ALBERI INFETTI
Quindi, come già chiarito l’abbattimento degli alberi – tutti in ottimo stato con vegetazione abbondante e vitale (per capirci: Gli alberi di cui si ordina lo sradicamento non mostrano alcun disseccamento neanche parziale!) – non è misura di profilassi ma solo di contenimento. Le autorità ci hanno pure riferito della precarietà del contenimento che ha solo un valore probabilistico senza alcuna ragionevole certezza della sua efficacia.
I tecnici affermano anche come le buone pratiche agrarie ovvero, in particolare, l’aratura primaverile e la lotta anti-parassitaria in primavera inoltrata permettono la riduzione drastica dei vettori. Alla luce del fatto che il contenimento ha solo un portato probabilistico e alla luce del fatto che la riduzione del vettore è dato certo, si rileva del tutto contraddittorio ed illogico che l’eliminazione dell’albero sia necessario per diminuire l’inoculo del batterio.
Lo sradicamento degli alberi ritenuti infettati è un classico “falso scopo”. A ben vedere mediante tale misura lo scopo effettivamente ottenuto è quello di imporre all’agricoltore – sul presupposto che è stato dichiarato incapace di saper o poter tenere e coltivare il suo oliveto – il modo di coltivare e quello che deve fare. Qui siamo di fronte ad un precedente abbastanza significativo e preoccupante mediante il quale il diritto di proprietà non comporta più e non contiene più in sé il diritto di coltivare il terreno nel modo ritenuto più opportuno e idoneo venendo meno, per il primario agricolo, la libertà di impresa.
A comprova di ciò vi è il fatto che chi ha programmato la risposta alla batteriosi e ne segue, con ruolo direttorio, le vicissitudini, in particolare il sig. Paolo De Castro, ritiene in totale buona fede di essere portatore universale di soluzioni da offrire a tutti e valide per tutti – da imporre a tutti? – per una agricoltura competitiva, produttiva e moderna. Egli ha all’attivo diverse pubblicazioni in materia agraria in cui espone linee di indirizzo e comportamento, non diciamo niente di nuovo. Ma ora riusciamo a guardare questo suo operato nella giusta luce.
Ma torniamo al merito della questione.
Il falso scopo salta subito agli occhi con riguardo all’altra misura valida per la zona infetta e per la zona di contenimento: Il divieto di reimpianto degli ulivi. Dal divieto assoluto, ultimamente, si è passati al “permesso” di impiantare solo alcuni tipi di cultivar. Questo tipo di divieto nelle misure di quarantena è previsto per evitare la diffusione del batterio. Ha una sua validità riguardo l’esportazione di materiale vegetale dall’area infetta e di contenimento nell’area indenne. Quindi, si può capire il divieto di messa a dimora nel resto d’Italia e dell’U.E. di piante o parti di piante provenienti dal Salento, ma il contrario o addirittura – come si prevede in questo ordine – il divieto di trapiantare giovani ulivi nella zona infetta (provenienti dalla stessa zona infetta o da fuori di essa) ha il significato solo di voler imporre per decreto agli olivicoltori come debbono coltivare. Ma tutto ciò cosa ha a che fare con la difesa dal batterio? Nulla. Risulta evidente che ci troviamo dinanzi ad un abuso dei poteri pubblici.
E’ necessario, invece, dare fiducia e sostenere gli olivicoltori: Appare insensato, stando a quello che ci viene spiegato da chi lo ordina, rimborsare le spese dello sradicamento degli alberi. Lo sradicamento è la conseguenza di un evento imprevisto di natura: Per quale motivo rimborsare una spesa che sarebbe, a quel punto, un atto dovuto e necessario nell’ambito della attività di impresa? E’ molto più utile e proficuo dare un contributo per albero – non spiccioli di qualche diecina di euro ma somme significative – aggiuntivi al Premio P.A.C. per coloro che riescono a tenere in stato di vegetazione produttiva gli ulivi che sono stati ritenuti infetti o che hanno sintomi di disseccamento rapido. Per quanto riguarda i contributi per la calamità fitopatologica essi devono essere dati ma in presenza di due condizioni: a) La perdita di reddito per la diminuita produzione; b) La prosecuzione della coltivazione olivicola. Mentre sino ad oggi sono stati previsti in termini assistenzialistici solo per il ristoro del danno per la perdita di reddito indipendentemente dalla prosecuzione della coltivazione dell’ulivo. In tal modo si finanzia l’abbandono della olivicoltura.
LO STATO DI EMERGENZA: IL CORTO CIRCUITO ISTITUZIONALE E SOCIALE
Nell’anno 2014 la Regione Puglia ha richiesto all’autorità statale la dichiarazione dello stato di emergenza da epifitia (un precedente assoluto, sicuramente in Europa ma probabilmente a livello mondiale!) per il disseccamento rapido dell’olivo provocato dalla Xylella. Nei primi mesi del 2015 il Consiglio dei Ministri ha concesso e dichiarato lo stato di emergenza. Il capo della Protezione Civile dott. Curcio provvide ad emettere le relative ordinanze e siffatto stato di emergenza è stato prorogato per un altro semestre con scadenza fissata per febbraio 2016. Ancora lo stesso dott. Curcio, nel novembre 2015, vigente la proroga, ha comunque richiesto alla Regione Puglia la revoca dello stato di emergenza ancor prima della scadenza dell’indicato semestre poiché le ragioni presupposte alla base dello stato di emergenza non sussistevano più.
Da quel momento le autorità pubbliche italiane coinvolte nella lotta al batterio hanno ritenuto di poter attuare ogni azione di contrasto alla Xylella attraverso le leggi ordinarie basandosi sugli atti della U.E., precisamente la Decisione di Esecuzione (UE) 2015/789 della Commissione Europea del 18 maggio 2015, pubblicata nella G.U.U.E. il 21 maggio 2015. Intanto il 4 febbraio 2016 il MI.P.A.A.F. emette un decreto il quale delimita l’area infetta, l’area di contenimento e l’area di sorveglianza così come prescritto dalla U.E.
Ma andiamo con ordine. E’ significativo approfondire per un attimo come la normativa di protezione civile inquadra il concetto di emergenza in relazione al tempo, pre-stabilendone una durata massima (in sei mesi, prorogabile per soli e non oltre, altri sei mesi). La deroga ai poteri ordinari intanto è costituzionale e legittima, se è motivata da una situazione eccezionale e se si esaurisce in una fase temporale predeterminata. Pertanto se la eccezionalità va oltre un tempo relativamente breve, non può essere più definita tale e gli eventi non possono essere definiti agli effetti di legge e procedurali, come emergenza ma devono essere considerati ordinari e le misure adottabili devono essere attuate senza deroghe ai diritti e alle prerogative del cittadino.
Giustamente il responsabile della Protezione Civile ha preteso cessasse lo stato di emergenza dal momento che l’insediamento del batterio non più estirpabile sul territorio prefigura non l’eccezionalità emergenziale bensì la necessità di affrontare una calamità naturale in ambito agricolo con le misure ordinariamente previste per siffatte situazioni che ciclicamente si possono presentare.
Misure adottate dagli agricoltori liberamente con l’intervento e la collaborazione della scienza, della ricerca, dell’industria e delle diverse figure professionali del settore, senza che debbano essere coercitivamente ordinate d’autorità ed eseguite dalla pubblica autorità con poteri sostitutivi. In tale situazione la quarantena riguarda esclusivamente lo spostamento di materiale vegetale proveniente dall’area infetta: Essa non può assolutamente giustificare obbligo di sradicare, divieto di re-impianto, obbligo di eseguire specifici trattamenti anti-parassitari, facoltà di eseguire prelievi e analisi senza la presenza dell’olivicoltore o del proprietario, riservatezza ed impossibilità di accedere ai test eseguiti, divieto di ripetere i test e facoltà di opporsi ai risultati dei test, e via di questo passo.
Nel caso della Xylella ci troviamo dinanzi ad una calamità fitopatologica, non siamo in una emergenza. Tale da giustificare le intollerabili compressioni e limitazioni al diritto di proprietà e alla libertà di impresa. Del resto le autorità ammettono che nonostante le misure adottate non si può escludere che ormai la foresta di ulivi del Salento sia compromessa, ormai persa, e non possa più essere recuperata, e che sia solo questione di tempo affinché il disseccamento si manifesti in modo esteso come accaduto cinque-sei anni orsono, nei primi focolai del basso Salento. Questo anche in conseguenza del fatto che non si conosce bene il periodo, più o meno lungo, di incubazione della malattia tra quando il batterio colonizza la pianta e quando essa dissecca.
Nonostante ciò, dal 2016 si sta procedendo ad attuare misure emergenziali (senza che si intraveda una fine temporale a tali pratiche) con leggi ordinarie. Insomma, come dire: Siccome è tutto perso, distruggiamo tutto e mettiamo in atto una coltivazione olivicola moderna, resistente, produttiva e via di questo passo, rinnovando gli oliveti ormai obsoleti.
Ecco, qui si compie un corto circuito. Deve scattare il salvavita (diritti con protezione costituzionale). Se l’interruttore salvavita non funziona a dovere, come sta accadendo in questa storia della Xylella salentina, si finisce nel buio più totale dove ormai tutti brancoliamo pericolosamente.
Nella zona infetta e nella zona di contenimento sta avvenendo una sospensione dei diritti costituzionalmente protetti: Si stanno imponendo delle scelte sul come condurre l’olivicoltura, altrimenti demandate alla libertà di impresa, prescrivendo un certo modo di fare agricoltura, il tutto con il pretesto della emergenza da calamità fitopatologica. Si stanno imponendo scelte e decisioni altrimenti normalmente demandate al rischio di impresa che la società pone a carico dell’imprenditore, agricolo in questo caso, nel naturale alveo della libertà di impresa e, sotto il profilo patrimoniale, del pacifico godimento dei beni di proprietà.
Il combinato disposto di normativa U.E. dispositiva e normativa nazionale e regionale attuativa ha creato in un pezzetto di Italia, il Salento, un vero e proprio “Stato di eccezione”, come viene definito dagli esperti di diritto costituzionale. Si tratta di questo: Pur restando ancorati ad un quadro normativo costituzionale ove formalmente i diritti risultano essere tutti operanti e vigenti, in virtù di una esigenza straordinaria che si assume contingente e limitata nel tempo (ma, si sa, in Italia non vi è nulla di più stabile di ciò che è previsto provvisoriamente) ritenuta prioritaria per un interesse pubblico superiore, si impongono delle limitazioni di fatto a quei diritti. Ed allora nell’anno domini 2018 nel Salento può accadere che un olivicoltore subisca il prelievo di un campione di rami dai suoi alberi di ulivo a sua insaputa, senza assistere al campionamento (ma il rametto che si è prelevato è proprio quello del mio albero?). Può accadere che gli vengano notificati i risultati delle analisi di un rametto senza poter verificare il risultato e la procedura di analisi eseguita a sua insaputa (ma chi mi dice che l’analisi sia stata eseguita correttamente?). Può accadere che sia impedito di poter eseguire delle contro-analisi per confronto con quella degli ispettori (ma perché non posso ripetere le analisi su di una cosa che mi appartiene?). Può accadere che sia imposto di sradicare l’albero anche se è vigoroso e in buono stato solo perché sulla carta è scritto che ha il batterio (dopo che non mi avete fatto ripetere le analisi devo credere sulla parola che ci sia il batterio. Ma non è questo il problema più grosso: Ma perché mi si vieta di curare l’albero?). Può accadere che venga imposto di eseguire dei trattamenti con agenti chimici ormai vietati per legge e cancerogeni (ma se i trattamenti che ho sempre fatto sono risultati efficaci, perché devo essere obbligato a farne altri?).
Non si tratta di un complotto, non si tratta di una azione organizzata. Qui ci troviamo dinanzi alla banalità del male. Ogni anello della catena di comando agisce senza porsi alcun problema di coscienza, senza mai guardarsi allo specchio, senza alcun criterio morale se non quello di obbedire agli ordini ricevuti. Nessuno individualmente si sente responsabile del male che si fa nello sradicare una pianta di ulivo con tutto quello che rappresenta per l’ambiente, per il paesaggio e per il coltivatore. Nessuno individualmente si sente responsabile del profondo dolore procurato ai proprietari obbligati ad uccidere, da se stessi, gli alberi che sino ad allora hanno tenuto con amorevole cura. Nessuno individualmente si sente responsabile della violazione del diritto di proprietà. Nessuno individualmente si sente responsabile dell’inquinamento provocato con la diffusione di sostanze cancerogene. Nessuno individualmente si sente responsabile di rendere ebeti e incapaci migliaia di piccoli produttori. Tutti si sentono giustificati e appagati nel ruolo di gregari, quale dente dell’ingranaggio dell’infernale macchina della burocrazia perfettamente integrato e funzionante alla perfezione. Ma, poi, vi è l’indifferenza di chi non si sente toccato dal problema. In primis degli intellettuali, professionisti, persone di cultura e degli storici che vengono meno al ruolo di conservatori della patria memoria. Non ci si sente in pericolo per il gravissimo precedente poiché non li sembra toccare direttamente. Ma non è così: Lo “Stato di eccezione” creato per una fitopatologia è un precedente che assomiglia molto ad un esperimento sociale, una prova su scala medio-piccola.
Se avrà successo non si può escludere che si replicherà per altro, per altre situazioni che possono riguardare una categoria di persone o una categoria di beni o un altro spicchio, più o meno grande, di territorio.
Nessun complotto, abbiamo detto: Ci troviamo dinanzi alla banalità del male compiuto da chi è ingranaggio di una catena di comando ed ha perso ogni riferimento alla propria coscienza ed al suo valore. Nonostante ciò possiamo individuare delle responsabilità di ordine politico, morale e, spero, che in qualche modo ne emergano anche sotto il profilo penale, in capo a: Paolo De Castro, parlamentare europeo che nella vicenda è il collegamento tra indirizzi della Commissione U.E., decisioni del Ministero delle Politiche Agricole e pareri degli scienziati, periti settore, operanti in Puglia; Maurizio Martina, per i decreti emessi quale Ministro delle Politiche Agricole; I massimi esperti del batterio Xylella dei centri di ricerca e scientifici del barese promotori delle azioni di quarantena che ho citato all’inizio dell’opuscolo.
Questo opuscolo sarà consegnato alle Procure della Repubblica di Lecce, Brindisi e Taranto ritenendo di fare opera di informazione che possa aiutare la Magistratura a comprendere cosa sta avvenendo veramente nel Salento con il disseccamento rapido e nella olivicoltura così che, individuato l’abuso di potere, l’uso improprio e illegittimo di poteri pubblici e la violazione illecita di diritti costituzionalmente protetti, ne perseguano i responsabili e, sequestrando in via cautelare gli alberi di ulivo destinati ad essere abbattuti, ne blocchino lo sradicamento anche censurando, se possibile, il divieto di re-impianto.
“SOBBRA LA TIGNA, LA CAPU MALATA”
Questo è un detto salentino che si può tradurre in italiano: Il male porta con sé altro male, al male se ne aggiunge dell’altro che aumenta e sviluppa il primo.
Il disseccamento rapido dell’olivo è la “tigna” (una specie di tarlo) nella cornice tutta, troppo, umana della “emergenza” da epifitia.
Mentre di seguito elenco una serie di comportamenti che costituiscono la “capu malata” cioè il male che si riproduce in forme diverse provocando viepiù, come una forma di neoplasia, lo sviluppo della principale manifestazione di male:
Il proprietario dell’oliveto che vuole togliersi davanti gli alberi d’ulivo poiché su quel terreno desidera fare altro e ciò gli è impedito dal divieto di rimuovere gli ulivi, ha piacere e comodo che il suo oliveto manifesti il disseccamento rapido per poter essere autorizzato a rimuovere gli alberi.
Il coltivatore dell’oliveto dove si è manifestato il disseccamento rapido non lo coltiva più e lascia gli alberi a se stessi, anche se alla base l’albero è vivo e se potato e ben tenuto potrebbe riprendersi, per la aspettativa di ricevere i contributi pubblici per la perdita della produzione e della pianta (1).
Gli speculatori della rendita fondiaria, cioè chi della compravendita di suoli agricoli ne fa un mestiere, coglie l’occasione dell’emergenza come un qualcosa di favorevole, per poter acquistare suolo agricolo a poco prezzo facendo incetta di vaste superfici agrarie.
L’opinione pubblica accetta acriticamente il fascino di vivere ed essere immersa in questa epocale fitopatia che distruggerà gli ulivi del Salento per quella gratificazione subcosciente che si attiva nella mente allorquando lo stato di indolenza, l’indifferenza, la irresponsabilità, sono giustificati dalla ineluttabile disgrazia. Il tutto manifestato col vittimismo della situazione di impotenza che è l’etichetta della agognata rassegnazione. Questa fascinazione è un potente quanto illusorio narcotico che produce benessere alla mente, allontana il potenziale dolore che deriva dal dover affrontare una realtà avversa e aliena il dover essere, la fatica della responsabilità. Il tutto mentre, intanto, il mondo crolla intorno a noi.
Tutti questi atteggiamenti mentali, comportamenti, aspettative e intenzioni che cinicamente ed egoisticamente fanno da sfondo al quadro della emergenza, fanno progredire la diffusione del batterio e lasciano campo libero alla banalità del male.
(Nota 1 – L’abbandono o lo sradicamento da parte dell’olivicoltore dell’albero di ulivo allorquando manifesta, anche in forma grave, il disseccamento rapido, è la vera causa della fine della pianta. Infatti l’ulivo è pianta che sa difendersi in un ambiente divenuto ostile riducendo la sua vitalità come fa l’animale in inverno con il letargo in attesa di riprendere la sua vita normale quando le condizioni ambientali, tornate favorevoli, lo permetteranno. Non è un caso, quindi, quello che osserviamo negli alberi disseccati: Lo sviluppo di nuova vegetazione, di germogli dal basso della pianta. Cioè l’albero pur disseccato non è morto ma continua a vivere a livello di apparato radicale e di tronco in attesa del ripristino delle condizioni favorevoli per riprendere a fare la sua splendida chioma argentea. Questo ci chiede l’ulivo: di essere aiutato a ripristinare le condizioni favorevoli di vita).
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